Correre felici nella maturità, nel giardino di Epicuro

Un interessante articolo sull’età matura, pubblicato da Lodovico Berra, sulla rivista Dasein, L’età della maturità, età di crisi, età di saggezza, mi suggerisce alcune riflessioni sulla possibilità che la filosofia possa essere un buon aiuto ad un approccio consapevole allo sport da parte di donne e uomini non più ascrivibili a quella categoria agonistica è chiamata “assoluti” e che indica gli atleti che gareggiano nell’età più performante.

Inquadriamo la questione.

Secondo Aristotele (Retorica, 1390b) il corpo raggiunge la sua maturità dai trenta ai trentacinque anni, l’anima intorno ai quarantanove.

Purtroppo si è maturi nel fisico quando si è lontani dalla maturità dell’anima…e viceversa. Quante volte ho detto e ho sentito dire: avessi avuto a venti anni la testa che ho oggi!

Ma oggi è un po’ meno peggio che nella Grecia antica. Ai tempi di Aristotele quarantanove anni erano tanti. Si consideri soltanto che, secondo molti studi, l’aspettativa di vita nell’antichità classica non raggiungeva i venti anni. Pur considerando l’altissima percentuale di mortalità infantile e le morti per guerre e pestilenze i quarantanove anni restavano un traguardo non alla portata di tutti.

Anche se noi contemporanei possiamo spostare le lancette dei nostri orologi biologici in avanti, conveniamo sul fatto che la nostra psiche matura quando il nostro corpo ha già scavallato la vetta da un bel pò. Non a caso proprio il concetto di vetta, Acmè, era quello utilizzato in Grecia per definire un momento culminante della vita, collocato intorno a quarant’anni.

Da un’altra prospettiva il raggiungimento di un apice prelude, per il futuro immediato, ad una discesa, un decadimento. Infatti spesso le tappe “giovinezza-maturità-vecchiaia” sono intese come “ascesa-zenit-declino”. La maturità è vista quindi come un ponte verso la vecchiaia, il momento che precede il decadimento. Scrive Berra.

Quando scalo la vetta di una montagna in bici o disputo una gara podistica mi rendo conto che oggi esiste una Green Old Age di ragazzi tra i 65 e i 75 anni in piena efficienza psico fisica. Avranno i capelli bianchi, hanno meno massa muscolare, magari talvolta non ricordano dove hanno messo le chiavi di casa, ma certamente la loro età biologica non è raffrontabile a quella dei loro nonni nel momento in cui contavano lo stesso numero di primavere. Sulla vetta arrivano prima di me e di tanti giovani! Anzi, spesso, nei vari terzi tempi, constato che oggi Aristotele potrebbe trovarsi in imbarazzo: spesso il fisico è ancora molto efficiente quando invece il cervello è già andato in pappa.

Nella normalità, possiamo comunque affermare che un nuovo atteggiamento nei confronti della pratica sportiva, insieme ad un forte sensibilità verso la prevenzione, al miglioramento dell’alimentazione, alle terapie e allo stile di vita in genere, ha contribuito ad ampliare la platea degli over 60 che praticano sport con una certa soddisfazione.

Quanto alla maturità dell’anima è cambiato poco. Anzi, i quarantanove anni sono una previsione fin troppo ottimistica per una piena maturità. Il il risultato dei due fatti appena descritti è che sempre più spesso si raggiunge un buon equilibrio psichico quando il corpo è ancora in grado di darci qualche soddisfazione. Generalmente siamo tutti ben disposti a sfruttare questa nuova situazione. Questo apre la riflessione su un nuovo approccio al rapporto tra anima e corpo nell’età matura, che intendiamo declinare dal punto di vista della pratica sportiva.

Per entrare in questa riflessione utilizzo due coppie di opposti, propri dell’atteggiamento verso lo sport nell’età del pieno vigore fisico e in quella del seppur ritardato declino:

quantità vs qualità

confidenza vs saggezza.

Nei chilometri di continua ascesa della corsa furiosa dell’adolescenza e dell’età adulta abbiamo lavorato sulla quantità: quante ore di allenamento, quante gare, quante volte siamo partiti dalla starter line, quanti gol/canestri/punti abbiamo segnato, quanti chilometri abbiamo corso, quante gare abbiamo disputato e vinto. In quanto tempo percorriamo, cento metri, un chilometro, la maratona.

Non c’è che dire: il nostro sport dai teen ai quaranta è stato tutto un gigantesco quanto!

Le cose, dopo poco, cambiano. Ora, se siamo cresciuti, se abbiamo raggiunto la maturità dell’anima, siamo sensibili prevalentemente alla qualità.

Il quanto, diventa come.

Non pesiamo più la nostra prestazione, ma la giudichiamo su un livello qualitativo. Il come, nello sport della maturità, si scrive in mille modi: con chi, quali, perché…. Come corriamo le nostre gare (bene, divertiti, senza acciacchi, in compagnia), quali gare fare (scegliamo quelle che ci piacciono, inseriamo dei periodi di recupero tra l’una e l’altra), con chi fare sport (non accettiamo più i compagni di squadra, di spogliatoio, ma li scegliamo).

Scrive Berra nel suo bell’articolo:

il sapere tante cose è preferito al conoscere profondamente alcune cose, l’avere molta forza è preferito alla qualità del movimento, avere molte relazioni superficiali è preferito a poche profonde, avere tanti rapporti sessuali è meglio che averne pochi ma intensi.

L’età toglie in quantità, ma dà in qualità. Più precisamente trasforma la quantità in qualità.

Il nostro organismo applica il rasoio di Occam alla nostra rete di collegamenti neuronali e ci induce a semplificare i rapporti sinapsici, aumentandone la qualità. L’inevitabile morte cellulare è perdita del superfluo, dell’eccesso. In questa degenerazione darwinista sopravvivono gli elementi più utili e più diretti. La perdita del patrimonio neuronale comporta la presenza di un minor numero di cellule e di sinapsi, che però vengono a configurare circuiti più semplici e più essenziali. La pallina non rischia di perdersi nel labirinto di mille viuzze, ma arriva giusta giusta alla meta. Il nostro organismo trova un funzionamento lineare, basico, determinato da una minore possibilità di scegliere alternative. Le risorse disponibili sono poche, ma lavorano da squadra e lo fanno in modo semplice: per mantenere l’efficienza giovanile abbiamo tagliato il superfluo. La semplificazione del sistema produce una migliore e più chiara visione del mondo.

Tutto questo è bellissimo, ma soltanto se sappiamo coglierlo, e ci porta dritti alla seconda contrapposizione: quella tra confidenza e saggezza.

Ai piedi del monte siamo spavaldi, siamo Pantani quando si toglie la bandana, scattiamo in faccia agli avversari e vinciamo da soli le partite. Gli anglosassoni usano un termine chiarissimo per questo atteggiamento: confidence! Gli spagnoli parlano di confianza! Il termine fiducia, in italiano, perde un po’ della potenza trasmessa dalle altre lingue, ma rende l’idea. La fiducia è il centro di gravità del giovane sportivo. Se la perde, perde tutto. Se la trova, trova tutto.

In cima alla salita siamo saggi, perché siamo in grado di arrivare al dunque. La bandana è volata via quella volta che siamo scattati in salita, la borraccia è vuota e l’abbiamo regalata al ragazzino che ci ha incoraggiato sull’ultimo tornante, ad ogni curva vediamo dove sono i nostri avversari, sia quelli che ci precedono che quelli che si sono staccati. La gara è fatta, si tratta di arrivare al traguardo, non possiamo cambiare di molto la nostra classifica. Siamo sereni perché non abbiamo più nulla da chiedere al nostro sforzo, ci gustiamo ogni metro della nostra corsa, siamo umili perché sappiamo che nonostante i nostri tentativi non siamo padroni del nostro destino. Infine abbiamo maturato un’esperienza priva di pregiudizi: sappiamo che le cose succedono, ma la relazione tra i fatti è solo un fatto statistico. Siamo stoici, Epitteto e Seneca sono i nostri punti di riferimento perché finalmente accettiamo quello che ci accade intorno, ce lo godiamo. Se una mattina mi sveglio con la schiena indolenzita penso che sia una buona giornata per leggere un bel libro. L’allenamento sarà rinviato a domani. Mi godo questa possibilità. Se, invece, pensiamo di competere con un trentenne allenandomi lo stesso, non sono un Peter Pan, ma un patetico vecchietto.

Tutto questo chiamiamo saggezza.

Chi abbia studiato un po’ di filosofia e abbia guardato lo schema, ha già individuato i quattro astri che illuminano la saggezza sportiva nell’età matura.

Uno sportivo che sia allena con vigore nell’età matura dovrebbe approfondire i quattro elementi del suo essere sportivo:

Il Giardino di Epicuro.

In età matura dobbiamo essere in grado di distinguere i piaceri. Lo sportivo epicureo è attratto da quel tipo di piacere che chiamiamo con una parolone: catestematico. Si tratta di un piacere stabile, sereno, imperturbabile. Si è lasciato alle spalle il piacere cinetico, che è il piacere in movimento, in cerca del soddisfacimento. La soddisfazione matura deriva più dalla serena astinenza che dall’improvviso e saltuario appagamento dei bisogni. Lo sportivo maturo si concentra su un piacere che non deriva dalla soddisfazione di tutte le pulsioni, ma fa selezione dei bisogni che vale la pena soddisfare, che è, anzi, necessario soddisfare. Un epicureo che faccia sport avanti negli anni non sogna di vincere tutte le gare, ma prova soddisfazione nel piacere di giocare quelle gare che può godersi. Lo sportivo epicureo cercherà l’atarassia, che è mancanza di turbamento e l’aponia che è assenza di dolore. Raggiungerà uno stato di benessere costante mediante una limitazione dei desideri, cioè delle cause dei dolori: meglio preparare e correre il cross in montagna che procurarsi danno cercando di portare a termine la cento chilometri del Passatore. Il saggio, quindi, appagherà i desideri naturali e necessari (per es., il desiderio di tenersi in ottima forma), ma non quelli naturali ma non necessari (per es., il desiderio di tenersi in ottima forma per vincere un premio) e tanto meno i desideri non necessari né naturali, che sorgono solo dall’opinione altrui e da bisogni artificiali (tenersi in ottima forma per essere considerato un esempio di splendido sessantenne).

Lo stoicismo dello sportivo

Questo elemento sembra essere l’elemento più scontato dei quattro che compongono la saggezza di questa età. Eppure l’ostinazione a soffiare contro il vento è un fatto che possiamo riscontrare in molti sportivi aged. Non ci si rassegna facilmente all’età, e questo è un bel guaio. Un mio amico psicologo, in tutt’altro contesto, ha evocato l’immagine di un topo che di notte resta chiuso in una pasticceria. Ha una scelta da fare: passare il suo tempo a cercare una via di fuga, oppure divorarsi il cibo che è finalmente a sua disposizione. Certo, avrebbe preferito tornare a casa con il magro bottino che aveva sgraffignato, ma le cose non sempre vanno come vogliamo e chissà cosa accadrà domani quando apriranno le porte del negozio e faranno pulizia. La buona notizia è che ci possiamo godere le cose per come vanno. Tanto che siamo in pasticceria, mangiamo. Epitteto alza ulteriormente l’asticella: Tu non devi cercare che le cose vadano a modo tuo, ma volere che esse vadano proprio così come stanno andando; allora tutto andrà bene.

Volentes fata ducunt, nolentes trahunt.

Occam ci impone la semplicità in ogni argomentazione.

È inutile fare con più ciò che si può fare con meno. Lo sportivo, con il passare degli anni, impara ad essere essenziale, non solo come approccio, ma anche nei meccanismi motori. Non ho mai visto movimenti inutili in uno sportivo sessantenne: tutto quello che fa è funzionale allo scopo. Anche l’allenamento e la programmazione dell’allenamento saranno asciutti, essenziali, funzionali. L’unica cosa di cui possiamo occuparci è il fatto particolare. Non esistono le gare, ma questa gara qui. Non esistono gli allenamenti e le teorie universali, ma quello che mi serve in questa situazione, oggi. Non mi serve sapere come si prepara una maratona, ma preparo la maratona di New York alla quale ho deciso di partecipare quest’anno. Diamo un nome a tutto quello che facciamo, consapevoli che domani potrebbe averne un altro.

Esistono i fatti e ci siamo noi davanti ai fatti.

Il quarto centro di gravità della saggezza sportiva ci è data da Hume. Inaspettatamente. Tutte le relazioni tra i fatti, le passioni, i pensieri, che abbiamo giudicato essenziali nella nostra vita, nell’età matura scompaiono. Non c’è nessun nesso reale tra un fatto e l’altro. Siamo noi che stabiliamo le connessioni. Non c’è posto per i se e per i ma. Constatiamo i fatti e li viviamo. La nostra corsa, non dipende dalla nostra età. La bellezza del nostro correre è data dalla nostra percezione di fronte al nostro gesto sportivo. La bellezza non è una qualità delle cose stesse: essa esiste soltanto nella mente che le contempla ed ogni mente percepisce una diversa bellezza.

Godersi lo sport nell’età matura si può, a patto di avet raggiunto quella maturità psichica che chiamiamo saggezza.

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