Ogni giorno, alle 18

Ogni giorno alle 18 durante il lockdown eravamo incollati alla tv per ascoltare le cifre, i numeri dell’epidemia.

Dietro ad ogni numero c’era una storia.

Oggi sembra ripetersi quanto è successo a marzo e aprile, moltiplicato per dieci.

Dietro ad ogni numero c’è una storia, non possiamo dimenticarlo. Ogni giorno alle 18 l’autore pubblicava un racconto breve per i suoi amici.

Questi racconti sono storie, si leggono in pochi minuti, al centro c’è un’opera d’arte, perché ogni cosa ha una storia che la riguarda.

Non possiamo liquidare tutto con i numeri delle 18.

A fianco dell’edizione digitale, su Amazon è disponibile anche l’edizione cartacea.

Fottutissimo Nietzche

Essere un filosofo oggi è impossibile. Cosa farebbe oggi un filosofo? A quel tempo poteva essere fico. Ce ne erano dieci forse venti in tutto il Paese, per cui era fico essere filosofi. Parlo di filosofi veri. Mio padre era uno di questi. Inviti in televisione, libri, conferenze all’estero. All’epoca funzionava così, si girava il mondo. Essere figlio di un filosofo, no. Non era fico. Insomma, quando ti chiedevano che mestiere fa tuo padre? non potevi mica dire: fa il filosofo.

Si chiama Socrate? E’ capace che ti saresti preso una risposta del genere. Poi diceva cose strane. Non mi piaceva essere figlio di un filosofo.

Allora stavamo in quarantena, forse era la prima volta per uno di quei virus. Mio padre se ne era andato di casa da un paio d’anni. Non credo che avesse un’altra donna. Non se ne andò per questo. Però se ne andò. La cosa forte nel periodo di quarantena è che mi poteva venire a prendere. Era un suo diritto e io mi godevo la mia mezza giornata di libertà settimanale. Per il resto non avevo molta voglia di vederlo.

La storia inizia quando salgo in macchina. Aveva preso un bell’anticipo per quel libro Elogio della vita mediocre. Uno dei suoi controsensi: professava una vita mediocree si era comprato la macchina dei suoi sogni, una Giulia rossa fiammante. Entro in macchina e si mette a giocare con il computer di bordo. Lo chiamava Hal. Ciao Hal, ti presento mio figlio, si chiama Dario. E quello, Ciao Dario, come stai? Mica come adesso che abbiamo macchine che si e no camminano e le connessioni in auto sono vietate per via dei controlli di polizia. Insomma, la giornata si metteva male.

Pa’, gli faccio. Domani la prof mi interroga su Nietzsche.

Ti interroga? Siete in quarantena e quella interroga.

Sì pa’, facciamo tutto in videochiamata. Sì, in quegli anni era così: potevi collegarti, parlarti e vederti. Allora gli chiedo: me lo spieghi?

No, fece lui. Oggi è il mio giorno. Potevi chiedere a mamma, lei lo conosce bene Nietzsche.

Pa’, io e te tutto il giorno… non abbiamo niente da fare!

Ah grazie. Disse lui. Senti cosa faremo figlio mio. Appena arrivati a casa ci guardiamo un fottuto film e poi ne parliamo. Io sto zitto perché non era bello quello che avevo detto.

Quindi arriviamo a casa, si collega ad una piattaforma… come si chiamavano? Netflix, o forse Raiplay. La cosa fica è che facevi tutto dal telefono. No, non dovevi vedere il film sul telefono. Il telefonino sparava tutto sulla smart tv, che poi era la televisione di casa con un cosetto dietro che prendeva il segnale del telefono. Si chiamava Bluetooth questa tecnologia. E comunque la TV di mio padre era una cosa grandiosa, con tanto di impianto stereo in giro per casa. Mette questo film. Sì, 2001 Odissea nello spazio. E’ lì che ho capito perché mio padre, il filosofo, chiamava il computer di bordo Hal. Era il computer dell’astronave. Hal 9000, il nome completo. Hal, per mio padre. Non era un film facile neanche allora. Allora la gente andava a scuola, all’università. Ma dopo tanti anni in pochi lo capivano quel film. Quella scena della scimmia con l’osso in mano e la caccia. Spettacolare. Con quella musica. Epica. Ancora ricordo tutto. Ma io avevo Nietzsche da studiare. Che gli racconto alla prof?

Lui mi legge nel pensiero, anche perché guardo il film e gioco con il telefono.

Me lo toglie, mette in pausa e dice. Quattro cose. Quattro fottute cose. E una premessa. La premessa è questa: in questo film c’è tutto Nietzsche, almeno quello di Così parlò Zarathustra. Se te lo spiego ti sembrerà tutta una fottutissima idiozia. Se non te lo spiego la tua fottuta testolina, mio padre aveva il vizio di questo fottuto intercalare, lavorerà. Allora vuoi lavorare o vuoi una fottuta spiegazione?

Voglio la spiegazione. Lo dissi per sfregio e per noia. In realtà mi aveva convinto del contrario.

Ecco la tua fottuta spiegazione, fece lui.

Quattro concetti. Te li metto in ordine per il film. Dio è morto. Volontà di potenza. Eterno ritorno. Oltreuomo, che poi lui disse Superuomo, perché era filosofo, ma vecchio. Infatti si corresse: Oltreuomo ! Oltreuomo si dice adesso. Ma vaffanculo a questo fottutissimo revisionismo. Superuomo. Il quarto concetto è Superuomo, cazzo!

Ora guardati questo fottuto film! E spinse play.

Ti voglio bene anche io Pà, gli dissi. Però a questo punto ero curioso. Misi stop. E gli dissi. Senti Pà, questo Hal 9000 è strano. Contravviene alle tre leggi di Asimov.

Che? Fece lui. Ah, Asimov. Le fottute leggi della robotica. Sì ma c’è l’applicazione pratica. Dipende tutto dall’applicazione pratica.

Vai avanti.

Insomma mi sciroppo tutto il film con questi quattro concetti nella testa. Però non è che ci stessi a pensare sempre, a questi quattro concetti. Voglio dire, non è che guardassi il film e pensavo a questo o quello. Però ogni tanto dicevo. Ah, sì, le scimmie, che poi saremmo i noi di prima, cacciano per volontà di potenza. Mi era però chiara una cosa, un’espressione che aveva usato mio padre sull’eterno ritorno. L’uomo è in bilico su una corda e cammina passando dalla scimmia al Superuomo. Se cade ricomincia da capo. La cosa che invece non mi era molto chiara era la storia del Dio è morto. Non è che mi aspettassi una scena con Dio che muore. Però. E’ l’uomo che fa morire Dio. Come quando tu litighi con uno e dici: per me tu sei morto. Mica muore davvero quello. Se quello è Dio poi, non muore mai. Vabbè, ci siamo capiti. Insomma procedo a guardare ed ecco la scena finale. Il vecchio nel letto, in quello zoo che gli avevano costruito questi esseri superiori. Una stanza arredata in maniera orrida, come loro pensavano che fosse arredata una stanza umana. Proprio come facciamo noi negli zoo, mettiamo una tigre in gabbia e ci mettiamo un albero. Tiè, eccoti la tua foresta. Poi arriva sto super bimbo inquietante che guarda la terra da dentro un feto che galleggia nello spazio. Questa cosa dello zoo e del vecchio che diventa il bimbo la disse Kubrick anni dopo. Al telefono con un giapponese, forse coreano. Cosa volesse dire la scena finale non l’aveva capito manco mio padre.

Io gli chiesi proprio: Pà, che vuol dire? E lui. Sto fottutissimo significato. Sempre a cercare il significato. Lavora, lavora… mi fece ticchettandomi sulla testa.

Vabbè, lavoro. Qui c’è sia l’eterno ritorno che il Superuomo, penso. Ci avevo indovinato. C’era un significato. Solo che Kubrick, sempre al telefono con quel tale, ha detto: e sì, se stavo a spiegare il significato tutti avrebbero pensato che era una cazzata. Così pensano che è arte.

Io, più terra terra, mentre torno a casa e parlo con il filosofo, penso pure, domani all’interrogazione è meglio che dica Oltreuomo. Me lo metto a mente, non dire Superuomo, che quello lo dice tuo padre che scrive libri e fa il filosofo. Se tu dici Superuomo fai la figura dell’ignorante.

Ho capito tutto, Pà, grazie. Gli dissi quando mi riportò a casa.

Hal, saluta Dario dice al computer. Ciao Dario, fa Hal.

Fico sto Nietzche pensai.

Pà, gli scrissi il giorno dopo su una cosa strana che si chiamava WhatsApp, ho preso quattro a filosofia. Eppure avevo capito.

C’è l’applicazione pratica…mi rispose. Dipende tutto dall’applicazione pratica. Quando scriveva non usava l’intercalare. Ma io me lo immaginavo che diceva c’è la fottutissima applicazione pratica.

Però mi piace Nietzsche., pà.

Dopo c’è stato il nazismo, mi scrisse dopo qualche ora. Non ti può piacere!

C’è l’applicazione pratica, Pà. La fottutissima applicazione pratica.

Credo che sia iniziato tutto da lì, dal fottutissimo Nietzsche, direbbe mio padre. Dico, è da Nietzsche che siamo caduti dalla corda perché questa applicazione pratica ci ha proprio fottuto. Un superbotto!

Unisciti a 1.278 altri iscritti