Fu così, avevamo quel cono di gelato in mano, a dire il vero io non avevo un cono, ma una granita di caffè con panna in un bicchierino di plastica. In questa storia i particolari contano. Stavamo passeggiando per questa bella cittadina delle dolomiti.
Credi nel déjà-vu? Mi fa lei all’improvviso.
A volte non sento bene e poi lei parla a scatti. Lo ammetto: feci finta di non sentire. Come sarebbe? Insomma non è bello passeggiare per un paesino delle dolomiti e far finta di non sentire. Il fatto è che se le rispondo che non ho sentito lei mi comincia a fare una serie di storie. Mi dice che sto invecchiando, che non mi lavo bene le orecchie, che devo fare attenzione quando lei parla.
Allora lei ripete a voce alta. Credi nel déjà-vu?
Non mi sono mai posto il problema. Sì, più o meno so cosa sia il déjà-vu, ma che significa crederci? Mica si crede nel raffreddore o nell’appendicite. Sono fatti. A volte succede che ti sembri di aver già vissuto un momento, le dico.
Cambiamo la domanda, mi fa. Non era spazientita. Aveva un po’ di ansia. Mi preoccupo.
Però io mi stavo innervosendo per un altro motivo.Avevo chiesto una granita alla doppia panna, invece la ragazza della gelateria ha messo la panna soltanto sopra. Bè, quando sono arrivato alla fine mi aspettavo un po’ di panna. Invece niente.
Allora, dove stavamo? Ah, sì. Mi dice: allora la domanda è un’altra.
Sentiamo, le faccio.
Pensi che io possa aver già vissuto questo momento?
No, le dico, assolutamente. Se sei venuta con un altro quassù non sono affari miei. Mi dispiace, ma non posso essere geloso del passato.
Ma sei proprio cretino. Mi fa lei. Intanto però mi accorsi che le mani un pochino le tremavano.
Non ti piace il gelato? Le chiedo.
È ottimo, fece lei. E gettò il cono per terra. Poi si toccò il petto. Non respiro! mi fece.
Io me ne stavo lì con la mia granita in mano. Era una bellissima giornata. Non capivo.
Sì avvicina un tale e le chiede di mettersi seduta e respirare. Credo che non fosse uno esperto e la mia ragazza è proprio una bella ragazza. Insomma, secondo me improvvisava per attaccare bottone. E allora gli dico. Va bene, ci penso io. So cosa fare.
Invece non sapevo cosa fare. Lei si alza e comincia a correre. E io a correre dietro a lei con la mia granita in mano. L’ho pagata cinque euro. Non potevo certo buttarla.
Ci troviamo fuori dal paesino, lungo il ruscello. Lei lo attraversa poco prima del ponte.
Dico, se vuoi andare dall’altra parte passa dal ponte.
Invece lei si butta nell’acqua gelida che le arriva alle ginocchia e passa dall’altra parte.
Io arrivo al ponte e le giro intorno. Faccio prima. Sì, perché a saltare da un sasso all’altro non è una cosa da farsi in un attimo. Così quando lei è sul greto siamo di fronte. Le vedo il petto che fa su e giù. Respira con affanno. Lei mi spintona e mi dice: lasciami in pace!
Insomma, continua a camminare a passo veloce, cambia direzione ogni venti o trenta metri. Io la seguo da una certa distanza. Non mi era piaciuto che mi avesse detto: lasciami in pace! In fondo ce ne stavamo passeggiando mano nella mano. Non ho risposto alla sua domanda, d’accordo. Ma mi sembrava una reazione eccessiva.
La cosa strana viene adesso. Dopo una ventina di minuti si butta per terra. Mi avvicino. Punto lo sguardo subito al suo torace. No, non aveva quello spaventoso su e giù di prima. Era sfinita, certo, ma più rilassata.
Mi fa. Scusa amore. Mi ricompri il gelato? Tutto sembrava tornato come prima.
Ecco, le chiedo. Mi sa spiegare questo fatto?
Come? Mi scusi signore, io l’ho ascoltata. Per rispetto alla storia che mi stava raccontando. Ma sono il proprietario di una casa d’aste. Mi spieghi come potrei aiutarla?
Ma che stupido che sono! Non le ho raccontato due fatti importanti. Il primo è questo. Allora, eravamo rimasti io e lei sul prato. Lei allungata con le braccia larghe, io in piedi davanti a lei. Naturalmente le ho detto che non ci sarebbe stato problema e che le avrei comprato di nuovo il gelato. Tra l’altro avrei voluto dire due cose alla stupida che non mi aveva preparato la granita doppia panna come le avevo chiesto. Insomma, volevo tornare anche io alla gelateria.
Ci incamminammo verso il paese. Ci tenevamo per mano. Sembrava tornato tutto al suo posto. Ma appena arrivati davanti alla sua casa d’aste la mia ragazza si impuntò. Sì, come i cavalli che non vogliono saltare. Alla fine mi fece fare il giro dell’isolato. Qui avete quei splendidi giardini dietro alle case. Siamo passati nel suo giardino. È suo il giardino dietro alla casa d’aste?
Sì, è il mio. Più orto che giardino. Comunque continuo a non comprendere.
Un attimo. So che non è un caso quello che è successo. Mica sono totalmente scemo. Quella cosa che è successa non è normale. Allora faccio finta di niente. Litigo un po’ con la ragazza della gelateria, forse ho esagerato, ma se lo è meritato. Comunque torniamo nella nostra stanza, nella pensioncina in cima al paese. Edelweiss si chiama, insomma non è un nome originale ma si sta bene. Ci sistemiamo e scendiamo per cena.
Proprio mentre arriva la nostra fetta di Sacher le chiedo.
Amore vuoi spiegarmi?
Lei era calma. Mi sembrava un po’ stanca, provata da questi fatti. Ma calma.
Mi dice: ti ricordi di quando ti ho chiesto del déjà-vu?
Sì cara. Scusa, non avevo capito che fosse così importante.
Un attimo prima pensavo a mio nonno. Come sai viveva in Maremma. Aveva un carro di buoi. Un giorno, mentre arava il terreno cadde. Io ero lì, camminavo appena. Vidi tutto. Passò due anni in coma prima di morire. Ecco, ho questa scena in testa di mio nonno. Dopo un attimo, davanti alla casa d’aste vedo un dipinto. Un uomo su un carro trainato da buoi. Mio nonno! Capisci. Mio nonno! Era lui. La stessa scena, un attimo prima che mio nonno finisse sotto al carro. Non so spiegare.
Ecco, signore. In questo paese non c’è un medico. È il quindici di agosto. Ne ho parlato con il prete e quello mi ha tirato giù una storia del purgatorio e mi ha chiesto un’offerta per dire una messa. Gli ho dato venti euro. Basteranno? Però non mi convince. Non credo che basti. Una messa, dico. Non credo che basti una messa.
Non mi resta che lei. In fondo il quadro è il suo. È proprio quello lì in vetrina. Un po’ di responsabilità dovrà pur sentirla.
Mah, guardi. Non mi sento nessuna responsabilità, ovviamente. E se non la prendo a calci è soltanto per rispetto della sua povera fidanzata. Da quello che mi dice la signorina ha avuto un attacco di panico. Non sono un medico. Ma ho visto una serie TV su Netflix dove c’era un tipo che aveva attacchi di panico. Però… aspetti.
Mi viene un’idea. Quel quadro è una copia perfetta di un quadro di Fattori, si chiama buoi al carro. Aspetti, aspetti un attimo. Guardi questa bella recensione che ho trovato su WordPress. L’ho stampata e l’ho messa sotto alla cornice. Sa di questi tempi non si vende nulla. Ecco… legga questo passaggio. Proprio qui…
… sono le chiazze di colore, i contrasti di luci e ombre, che formano il tutto, lasciando intuire il particolare senza entrare in una descrizione minuziosa. … non serve raccontare il dettaglio: chi osserva il quadro già conosce come è fatto uno zoccolo di un bue, una ruota di un carro, il sudore che bagna la camicia di un contadino. Attraverso la macchia di colore che accenna ad ogni particolare la mente si collega all’oggetto che è nei nostri pensieri…
Sì, signore. La sua ragazza ha visto prima il quadro e poi ha pensato a suo nonno. Le ha detto il contrario perché evidentemente la mente ha pensato al nonno dopo aver percepito il quadro. A volte vediamo le cose senza prenderne coscienza… sa.
Quanto costa il quadro?
Poco, trecento euro.
Troppo.
Trecento più tutte le granite doppia panna che vuole. La gelateria è mia.
Lo prendo.
Ah, la ragazza che lavora in gelateria è mia figlia. Sia carino con lei. Soffre di ansia depressiva.
https://vernini.wordpress.com/2012/05/28/fattori-buoi-al-carro/