Sei tutta mia!

Sì, è vero sono già stato innamorato.  Ho conosciuto alcune donne prima di te. Ormai, ho quaranta anni cara, è normale che mi sia innamorato prima di conoscerti. Però posso giurarti che mai è stato come adesso. In fondo sono contento di questa situazione, posso averti tutto per me.  E poi non mi andava proprio che ti vedessero in questo stato.

Troppo sfacciata.

Sì, lo so che non è colpa tua.

Ma sei tutta nuda.

Non puoi presentarti così, amore.

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Si riparte: sprigiona la tua vitalità!

Il vero male, l’unico male, sono le convenzioni e le finzioni sociali, che si sovrappongono alla realtà naturale.

Fernando Pessoa (Il banchiere anarchico)

Un bambino che promette bene in palestra, su una pista di atletica o dentro ad un rettangolo di gioco non sta mai fermo. Corre, calcia i palloni, schiaccia come può. Un bambino indisciplinato è vitale. Un bambino indisciplinato è all’inizio della sua vita sportiva e presto o tardi troverà qualcuno che si assegnerà il compito di inquadrarlo in regole e schemi, ma per il momento la sua vita e la sua vitalità sono la stessa cosa. Tornassi indietro mi gusterei fino in fondo l’odore del prato del centro di avviamento allo sport del CONI dove mi portarono i miei quando sapevo appena camminare, della palestra di Judo che frequentavo quando avevo quattro anni e anche del cloro che respiravo in piscina. Quelle emozioni mi sono rimaste dentro tutta la vita.

Allora, da bambino, non distinguevo tra la mia vita da giovane sportivo e la mia vitalità, perché tutti mi lasciavano vivere…

Ero troppo piccolo per fare sport seriamente, per questo potevo far coincidere sport e vita. Ricordo ancora in maniera chiara le tre mosse di judo imparate a quattro anni, fanno parte della mia vita.

Si sta ripartendo dopo il Covid e torniamo tutti bambini: i progetti sono tanti e ci si sente in grado di spaccare il mondo. Non c’è bisogno di convincersi. Se si torna a fare sport lo si fa perché si è contenti di farlo.

La sensazione che si percepisce è quella di una grande energia collettiva che è tenuta prigioniera da un po’ di paura e dalle ferite lasciate in tutti noi da questo periodo molto triste. 

Dobbiamo riuscire a prendere il bello da queste energie tenute soffocate in questo periodo e farle esplodere. 

Non dobbiamo accontentarci di riprendere a vivere. Dobbiamo essere vitali!

Nella Grecia antica avevano due modi per indicare la vita, zoe e bios.

La prima è il flusso vitale, l’energia della quale siamo parte, la vitalità . Il secondo modo indica le nostre vite biografiche, le nostre esistenze particolari, io, tu, il nostro lavoro, la nostra pallavolo, la nostra maratona, il nostro calcio di rigore. Βιος (Bios), è la “vita quam vivimus”, la vita particolare di ognuno, con un inizio e una fine. ζωή (Zoè), è la “vita qua vivimus”, la forza, mi piace dire alla maniera di Guerre Stellari.

Anche nello sport, come nella vita, se il nostro gioco non si stacca dal flusso vitale che è in noi le cose andranno bene. Non si tratta di un metodo di allenamento. La contrapposizione è nello spirito con il quale viviamo. Seguiamo il bimbo che ci ha portato per la prima volta su una pista di atletica, oppure ci facciamo soffocare da mille cose che ci hanno allontanato da quel momento?

Ti propongo un piccolo esperimento che ti aiuterà a convincerti di quello che dico:

prima di una allenamento o di una partita pensa alle emozioni che ti accompagnavano le prime volte che hai praticato il tuo sport.

Cerca di trasmetterle al tuo io adesso. Senti gli odori, respira l’aria di allora, guarda il mondo con gli occhi di te bambino. Sono sicuro che affronterai quell’allenamento con una vitalità che ti sorprenderà e comprenderai che il filo della Zoe che ti lega a quel bimbo è ancora forte, anche se la tua biografia è andata avanti.

Il monito che a oggi può cambiare la tua vita sportiva è proprio questo:

non dimenticare il bimbo che è entrato per la prima volta in palestra!

Cerca con tutto te stesso di rimanere attaccato alla tua voglia, cerca la forza che è in te.

Se hai programmato un allenamento molto importante, ma ti senti stanco e non hai recuperato, resta a casa e goditi una sera di relax con la famiglia. Ritrova in qualsiasi momento la voglia e l’entusiasmo di riportare la tua biografia nel flusso della Zoè.

Non preoccuparti troppo di quello che gli altri pensano dei tuoi risultati: uno su cento ce la fa, cantava Morandi. Non devi essere per forza tu. Quello che conta è che lo sport rafforzi in te la tua vitalità.

Il resto è statistica.

 

Epidemia

Epidemia

L’uomo ricordava che la città si era già fermata alcune volte. Nel 1985 ed anche l’anno successivo furono neve e gelo ad impedire qualsiasi attività. O forse era stato l’inverno 1986. Comunque sia quell’anno, il giorno dell’Epifania, nevicò e la città rimase come addormentata, per due o tre giorni, non di più.   Ricordava che quella mattina, ma forse era proprio il 1985, in sole due ore, caddero oltre quaranta centimetri di neve. Durante quell’inverno, per la prima volta, a sua memoria, bus, tram e metropolitana rimasero fermi a causa della neve. Tutta la città era stata zittita dalla coltre bianca. Al pensiero della neve si scoprì poeta. Senza esitazione, soprattutto senza arrossire, disse: il gelo nel 1986 trasformò alcuni quartieri in un enorme, immobile, surreale, presepe di ghiaccio…o forse era il 1985, evidentemente non riusciva a decidersi. Ricordò poi, ma con minore enfasi, che la temperatura tornò ai valori consueti proprio mentre si stavano creando i primi problemi di approvvigionamento. Ricordava anche che una donna morì assiderata, mentre era in coda davanti al camion militare che stava distribuendo pane e latte. L’uomo sottolineò quasi con commozione che erano stati i militari a distribuire pane e latte durante l’emergenza e tornò ad essere poeta. Dannunziano, quasi.

La donna fuori campo osservò che era scandaloso che l’uomo non ricordasse le due decine di barboni morti nelle stazioni della metropolitana.  Era successo proprio questo. Morirono molti senza tetto. Fu perché la metro aveva smesso di funzionare e allora l’amministrazione comunale decise di spegnere il riscaldamento nelle stazioni. Questo gesto fece risparmiare un po’ di denaro pubblico ma condannò a morte i barboni che nelle stazioni della metro trovavano riparo per la notte. Scoppiò una breve scaramuccia e seguirono insulti politicamente scorretti. Molto scorretti persino per una discussione politica.

Alla fine i due convennero che un’epidemia di influenza non aveva mai bloccato la loro città e forse nessuna città al mondo. Forse qualche sciopero dei comunisti avrà causato problemi, ma mai un’epidemia di influenza, si accontentò di concludere l’uomo.  Questa volta il borbottio fuori campo fu percepito dai telespettatori solo come un indistinto rumore di fondo. Nessuno ormai difendeva i comunisti a voce alta. A quel punto il conduttore del programma diede la parola ad un leader ambientalista. Il volto del nuovo intervenuto non era di quelli noti ai telespettatori. Era il più alto in grado tra i superstiti all’epidemia e si era presentato alla trasmissione in rappresentanza del movimento. Certo, le sue condizioni di salute non erano un inno all’ottimismo: la voce era roca ed usciva a fatica, gli occhi smoccolavano copiosamente ogni tipo di fluido. Causa l’assenza di tele cineoperatori, il leader ambientalista fu costretto a spostarsi. Prese il posto dell’uomo che aveva appena parlato. Le telecamere in studio erano solo due, fissate su due cavalletti. Una era puntata sempre sul conduttore, l’altra era contesa dagli ospiti. In regia un tecnico mandava in onda il segnale, staccando di volta in volta da una inquadratura all’altra. Già pensava alle future rivendicazioni sindacali. Minimo sarebbe stato promosso aiuto regista. Telefonò a casa: guarda subito la televisione, ci sono io… no non in video, in regia, da solo! La moglie con 40 di febbre neanche si degnò di rispondere.

Il sedicente leader ambientalista spiegò a fatica che tutto questo succedeva perché i cibi erano geneticamente modificati ed ormai non fornivano sufficienti anticorpi. Fece qualche salto logico ma il suo concetto era chiaro, come era chiaro che ormai non esistevano più le mezze stagioni. Qualcuno, sempre fuori campo e senza microfono, si intromise, ma le sue parole risultarono incomprensibili, più un latrato che altro. Il leader ambientalista proseguì sicuro e snocciolò dati, cifre, esempi, tutto quello aveva faticosamente raccolto nei dossier che aveva a casa e che era riuscito a mandare a memoria un’ora prima della trasmissione. Di colpo si bloccò. Riuscì a balbettare qualche parola, ma con pause smisurate tra una sillaba e l’altra. Sudava. Gli occhi erano ormai due fessure gonfie e purulente. Guardò il conduttore con uno sguardo che implorava pietà. Irruppe sullo schermo un braccio femminile che porse un bicchiere d’acqua al poveretto. Questa volta la voce fuori campo si colse nitida: mumble…stronzo…mumble …ci contagia tutti…. mumble….

Pubblicità.

Credi veramente che sia colpa degli OGM? chiese Sonia. Tony era tutto avvolto in un paio di coperte imbottite, una sciarpa della squadra cittadina di basket gli mascherava il volto. Stringeva al petto un’anacronistica borsa dell’acqua calda, scovata chissà dove. Aveva sentito pochissimo di quanto detto durante il programma. È questo che hanno detto, Sonia? È tutta colpa degli OGM?

Sonia, per il momento, era stata restituita alla vita normale dalla tachipirina e sguazzava nel suo sudore. Sentiva molto caldo ed era rimasta in canottiera. La febbre non impediva a Tony di apprezzare le forme turgide dei capezzoli. Fece per allungare una mano ma un brivido freddo lo scosse lungo tutta la colonna vertebrale, richiamando l’arto ad una repentina ritirata sotto la coperta.

Non credo che sia colpa dei cibi geneticamente modificati, magari è un virus che ci hanno tirato addosso quei maledetti arabi. Una fialetta nell’acquedotto e via… disse Tony.

La porta è chiusa a chiave?

Dopo pochi minuti l’effetto dell’antipiretico cominciò ad abbandonare Sonia. Proprio mentre la pubblicità mostrava un noto campione di basket, alle prese con l’installazione di un termo condizionatore, ebbe freddo. La donna si tolse la canottiera ed i suoi seni svettarono davanti agli occhi di Tony che li ammirò impotente. In un lampo, però, la ragazza si ricoprì. Non aveva gradito la battuta sugli arabi: allora io adesso mi metto il burka. Sentenziò. Poi passò ai fatti indossando un maglione pesante e avvolgendosi in una copertona di lana a rombi bianchi ed arancioni lavorata ai ferri dalla nonna. Il motivo della coperta non piaceva a Sonia, però era stato conservato dalla nonna per tanti anni con naftalina e lei impazziva per quell’odore, come era entusiasta dell’odore della benzina. Quando si presentava l’occasione adorava perfino sniffare alcuni solventi per tinte. Mentre si arrotolava nella coperta pensò a quella volta che aveva litigato con Tony per via dell’idropittura. Lui, tutto fiero, aveva riverniciato i termosifoni di casa con una pittura ecologica ad acqua, completamente inodore. Non che gliene importasse qualcosa, voleva solo assecondare la, pur flebile, vena ambientalista della ragazza. La tinta ad acqua era costata anche qualche centesimo in più.  Lei si era innervosita perché amava l’odore dell’acqua ragia ma non volle darlo a vedere. Così piantò una grana per via di una macchia sul tappeto del bagno. Dopo la pubblicità lo schermo rimase nero qualche secondo, prima che i programmi riprendessero con una replica del Tenente Colombo.  Le reti nazionali seguivano la normale programmazione.

Suonò il telefono e Sonia rispose al portatile scoprendosi il meno possibile. Era la signora delle pulizie che il giorno prima si era offerta di portare la spesa. Ora era malata anche lei, non sarebbe potuta venire, forse tra un paio di giorni…. Però aveva telefonato a suo nipote che lavorava presso un negozio di generi alimentari, dopo la chiusura avrebbe provveduto a recapitare pane, latte, due cassette d’acqua minerale e dodici rotoli di carta igienica, perché si era accorta che stava finendo. A proposito: l’acqua sarebbe mancata ancora per molte ore perché si era rotta la pompa dell’acquedotto, i tecnici comunali erano malati e non si trovavano altri tecnici in grado di procedere alla riparazione. L’ acqua minerale andava a ruba nei supermercati. Per fortuna il nipote della signora delle pulizie era riuscito a stiparne una buona scorta nel suo pick up.  Era stata gentile ad avvertire nonostante facesse molta fatica a parlare.

Ha detto p i c k u p? chiese Tony. Si, ha detto esattamente <<pick up>>! Perché, non può dire <<pick up>>?!?”.

Ma se avrà fatto a mala pena le elementari!

Sonia si tolse le coperte e saltò dal divano: senti, stronzo, ha fatto le elementari ma dice <<pick up>>!!!”.

Va bene, va bene, ero solo curioso di sapere se avesse effettivamente detto <<pick up>>!!!

Sonia pensò che tutto sommato questa epidemia non era un male: pick up a parte, nel congelatore avevano abbastanza riserve e qualche giorno di riposo a casa avrebbe giovato a tutti. Anche la frenesia della città aveva bisogno di un qualcosa di più grande di tutto e che dicesse ai troppi capi: mi dispiace, oggi non avrai la tua segretaria o il tuo garzone a correre per te. Non puoi farci niente! È così e basta. Anche se tu sei un capo l’influenza è più forte di te! Gli uomini d’affari sono quasi tutti fermi come quasi sono tutte ferme le loro scellerate operazioni.

L’influenza era brutta per tutti ed un capo a casa era comunque ridotto all’inattività. Un capo, per definizione, non sa lavorare senza dare ordini a qualcuno. Sonia pensò ai tanti capi incapaci ed alla discussione sul pick up. Si trovò sull’orlo di un attacco di rabbia. Si calmò pensando al fatto che per qualche giorno nessuno avrebbe corso verso non si sa cosa e questo avrebbe sicuramente giovato alla salute sociale della città.

Tony non era entrato nello stesso ordine di idee e protestava: debbo spostare la lezione di golf, forse domani potrei farcela. Sonia rimase in silenzio. A questo punto il Tenente Colombo fu interrotto da un’edizione straordinaria del notiziario regionale. L’informazione era scontata: gli ospedali cittadini erano pieni, i vaccini non avevano funzionato, l’acqua non sarebbe tornata prima di dieci-dodici ore, le scuole erano chiuse.

Anche io non mi sento molto bene, concluse il giornalista. Intanto la benevola protezione della tachipirina aveva abbandonato Sonia e cominciava a concedere i suoi sollievi a Tony. Ora era lui che sembrava più attivo, si aggirava per casa e si rendeva utile nelle piccole faccende, mentre la donna si riavvolgeva nelle coperte e cadeva in uno stato di dormiveglia. Tony aveva scovato un pacchetto di patatine alla cipolla e trovò la voglia di sgranocchiarne qualcuna, poi pensò alla sete che sarebbe sopraggiunta e smise. Avrebbe atteso il pickup con il suo carico di acqua.

Le notizie dei primi morti arrivarono dalla chiostrina del bagno. La signora del piano di sotto conversava con la sua dirimpettaia. Le sue parole erano concitate, i modi riservatissimi, infatti la donna si confidava, in segreto, sussurrando, nella chiostrina, a tutto il palazzo. Tony, dalla sua posizione, non poteva comprendere le parole, ma infastidito dal rumore si affacciò per tirare a sé le persiane. Con la testa fuori la finestra, non visto dalle donne, o forse visto, ma ignorato, gli fu sufficiente intercettare uno scampolo del discorso per cominciare a farsi un quadro allarmante della situazione. All’ospedale c’erano stati molti ricoveri ed una ventina di decessi. La signora sembrava una fonte molto attendibile. Il marito lavorava come infermiere in ospedale ed aveva telefonato, di nascosto, avvertendola che l’intero ospedale cittadino era stato posto in quarantena. Per ora non avrebbe potuto fare ritorno. Le autorità volevano tenere tutto sotto silenzio per non generare il panico, anche l’uso del telefono, ce ne erano tre a gettone in tutto l’ospedale, era controllato e lui non avrebbe richiamato prima di una decina di ore.

Le cose non andarono così. Ad emergenza conclusa si scoprì che l’infermiere, sempre in ottima salute, si era recluso volontariamente in isolamento con una disinvolta collega del contro turno, il tutto, appunto, per una decina di ore. Appena venuta a conoscenza del fatto, la donna mise le valigie con la roba del marito fuori dalla porta di casa. Qualche giorno dopo avrebbe commentato su radio-chiostrina: passi la scappatella, ma dieci ore. Dico D-I-E-C-I  O-R-E chiusi in una stanza, è questo che mi manda in bestia. Questo, a cose fatte, disse la donna che liquidò il marito. Fu proprio questo particolare delle dieci ore che la fece imbestialire, fosse stata una sveltina l’uomo l’avrebbe fatta franca.

L’epidemia in tutto fece poche vittime, non più di quante ne produce un normale virus influenzale con l’aggiunta di un anziano colpito da attacco cardiaco al diffondersi delle prime tragiche notizie. Anche la storia della quarantena, naturalmente, si rivelò una balla. Un reparto fu chiuso ma più che altro per l’affollamento che si era creato. Naturalmente, sebbene la notizia dei morti e della quarantena fosse stata confidata dall’infermiere alla moglie nel massimo segreto e per fini tutt’altro che nobili, si diffuse in tutta la nazione. La donna lo aveva rivelato solo alla sua amica attraverso la chiostrina condominiale. Dopo pochi minuti, mentre l’infermiere soffriva le privazioni dell’isolamento prolungato in compagnia della generosa collega, la città era caduta nel panico. Decine di giornalisti, eroici come sempre, si erano asserragliati fuori l’ospedale a repentaglio della loro incolumità fisica. Il caso volle che intervistassero anche l’infermiere che usciva dopo il massacrante turno di lavoro. Niente di niente. Le vostre notizie sono tutte infondate. Opera dei soliti sciacalli e dei comunisti.

Disse sicuro e tornò a casa.

Tony, che non poteva conoscere la verità, rimase impressionato dalle parole ascoltate nella chiostrina. Non svegliò Sonia, ma, senza pensare a quello che stava facendo, le pose la mano sul torace, controllando che respirasse regolarmente. Era questo un gesto che aveva visto fare alla mamma con i suoi fratelli più piccoli, lo trovava stupido ed infantile ma ogni tanto si era sorpreso a ripeterlo con le persone che amava. Sentire al tatto il ritmo del respiro, il torace salire e scendere. Questo gli dava sicurezza.

Intanto dalla strada salirono voci concitate. Un gruppo di ragazzini era riuscito a penetrare nel negozio di dischi ed aveva cominciato a saccheggiare dvd, cd, giochi per consolle ed ogni altro ben di Dio. Si dileguarono al suono di una sirena. Subito si accorsero, però, che si trattava di un’autoambulanza e ripresero il saccheggio, ma con maggiore circospezione e minor frenesia. Evidentemente i poliziotti dovevano essere tutti malati. Sonia, richiamata dai commenti di Tony, si svegliò e raggiunse, ancora avvolta dalle coperte, la finestra.

Bastardi, gli taglierei le mani, disse Tony.

Sonia si affacciò alla finestra per rendersi conto della situazione. Con un CD a quel prezzo è il minimo che possano fare, tanto tu giochi a golf. Commentò.

Che c’entra il golf?

Sonia non sapeva cosa c’entra il golf, però ormai aveva detto tanto tu giochi a golf. Si irritò e mise su una giustificazione: uno che paga tutti quei cazzo di soldi per buttare una cazzo di pallina in una cazzo di buca non può capire.

Tony avrebbe voluto strozzarla, ma le diede una pacca sul sedere. Sonia riprese il telecomando e cominciò a fare zapping tra gli otto canali che l’antenna centralizzata del palazzo riusciva a catturare. Pensò che stava facendo zapping, ripensò al pick up e disse sotto voce: stronzo!

Tony intese ma non aprì bocca.  Si scelse un libro da leggere e si mise in cucina. Aveva scelto dalla libreria quasi a caso. La libreria era essenziale. Due scaffali in rovere che percorrevano tutto il lato lungo della sala da pranzo. In realtà non era una sala da pranzo: si trattava di una living room¸ chissà come la chiamasse la signora delle pulizie. Nell’angolo più in vista Sonia riponeva tutti i libri che aveva intenzione di leggere a breve. Tony ne scartò due o tre, poi prese Cattedrale di Carver. La settimana prima aveva avuto voglia di leggerlo. Si fermò alla biografia dell’autore. Aveva commentato: questo è un cazzo di comunista sfaticato.

Cominciò a leggere il racconto che dava il nome alla raccolta. Parlava di un cieco che alla fine disegna una cattedrale. La scrittura di Carver lo prese e si appassionò alla storia. Nel bel mezzo sentì che i piedi poggiavano in una chiazza d’acqua. Immedesimatosi nel racconto, chiuse gli occhi e provò a comportarsi da cieco. Passò il piede sinistro sopra l’acqua nel tentativo di scoprirne la provenienza. Allungava il piede fino al limite, poi spostava la sedia rimanendo seduto ed avanzava di qualche centimetro. L’operazione si rese necessaria per tre o quattro volte. Non riusciva a capire quanto la pozza d’acqua fosse estesa, ma cominciava a preoccuparsi perché era abbastanza estesa. Alla fine raggiunse qualcosa che poteva essere il frigorifero, oppure la lavastoviglie che era accanto al frigorifero. Toccò con il piede l’elettrodomestico: in effetti potevano essere sia il frigorifero che la lavastoviglie. Ormai era una questione di principio. Mantenne chiusi gli occhi e si mise carponi. Si bagnò i pantaloni della tuta. Annusò le mani e scoprì che il liquido era piuttosto maleodorante. Però, con quel raffreddore addosso, non riusciva a capire quanto fosse maleodorante. Ora sentiva anche cadere delle gocce dall’elettrodomestico. Avanzò con cautela e cominciò a tastarlo con le mani. Capì che si trattava del frigorifero. A quel punto pensò che se fosse stato veramente cieco la situazione si sarebbe presentata piuttosto ingarbugliata. Ma forse i ciechi hanno sviluppato un senso che permette loro di sopravvivere anche in queste situazioni. Deve essere per forza così altrimenti per loro non sarebbe possibile andare avanti. Allora un cieco in quel momento sarebbe stato in una posizione di vantaggio: i ciechi sono sleali, se sviluppi altri sensi non sei cieco come uno che chiude gli occhi!

Per questo si sentì autorizzato ad aprire gli occhi. Li aprì. Si ritrovò carponi, davanti al frigorifero, nel mezzo di una pozza di un liquido rossastro che dalla provenienza, dall’odore e, diamine!, da un minimo di evidenza non ragionata, poteva chiaramente appartenere alla carne conservata nel congelatore. La carne andava cucinata al volo e consumata. Sonia aveva assistito alla scena dall’uscio della cucina e non disse una parola. Tony si chiese da quanto Sonia fosse sull’uscio e se avesse visto la scena del cieco. Forse no.

Si mise all’opera. Dal frigorifero furono estratte le salme di vari animali congelati, un buon numero di bistecche ancora fredde e varie scatole di ortaggi.

Potremmo cucinare tutto ed invitare i nostri amici, disse Tony. Sapeva che non avevano amici, nel senso che Tony aveva amici e Sonia aveva amici, ma insieme non avevano amici in quanto uno detestava gli amici dell’altra e viceversa.

Forse potremmo vendere questa roba alla moglie dell’infermiere. Ho sentito che non può muoversi di casa e con il marito intrappolato all’ospedale avrà qualche difficoltà. Sonia non rispose.

Forse con i soldi che possiamo ricavare da questo ben di Dio posso pagarmi un giro al golf. Tony sapeva come scuotere Sonia, il golf era una provocazione potente….

Chiamiamo i frati che hanno la mensa del quartiere, magari a loro serve, eppoi non voglio cucinare tutta questa roba, disse Sonia. Ho detto di venderla, replicò Tony. Credevo che scherzassi, sussurrò Sonia che non riusciva a stare in piedi.

Sonia si sdraiò sul divano e chiuse gli occhi.

Tony cominciò ad aprire tutti gli sportelli della cucina in cerca dei sacchetti per gli alimenti, avrebbe tentato di vendere la carne nel condominio. Sbatteva con violenza gli sportelli per dare fastidio a Sonia. Ma Sonia non si mosse.  Nello sportello dei medicinali trovò un flaconcino di Novalgina, ne ingurgitò cinquanta gocce, lasciò la carne dentro al lavandino, si vestì per il golf ed uscì. Sudava da morire e ad intervalli regolari veniva percorso da brividi per niente rassicuranti. Nel pianerottolo, mentre attendeva l’ascensore, si frugò le tasche. Era una specie di mania: prima di arrivare ad un posto prendeva a controllare se avesse con sé ogni cosa (portafoglio, chiavi). Si accorse di non aver preso le chiavi dell’armadietto nel quale custodiva le sue cose nel circolo del golf. Rientrò in casa. Fece molto rumore. Sonia non si mosse. Prese le chiavi. Si avvicinò per controllarne, con il solito gesto, il respiro. Sembrava avesse il diaframma immobile. Questa volta ritrasse la mano prima di poggiarla sul torace della compagna.  Uscì sbattendo violentemente la porta.

Sonia non si mosse.