Finalmente su Amazon (qui) sono disponibili i racconti della serie Device. Si tratta di una serie di storie brevi che hanno un solo tema: raccontare la vita all’epoca dei cellulari, tablet, facebook, amazon e youtube.
Siamo tutti connessi, siamo tutti collegati ad un dispositivo. Fermiamoci un attimo e osserviamo una fermata del bus, una sala d’aspetto, un treno. Cosa sta facendo quella ragazza china su una tavoletta illuminata. Sta postando una storia? Sta chattando con il suo fidanzato? Sta nel gruppo whatsapp del corso di laurea? Probabilmente sta facendo tutto questo in rapida successione. E quel signore in giacca e cravatta con le cuffiette Iphone? Scrive e parla al telefono. Avrà mai staccato dal suo lavoro?
Vale la pena raccontarlo.
Nessuno di noi sfugge a questa nuova dimensione. Abbiamo ritrovato vecchi amici già dall’esordio di Facebook e anche se oggi mangiamo una pizza insieme, proprio come avremmo fatto una volta, anche se lasceremo i cellulari in modalità aereo, parleremo delle foto dei figli … che abbiamo visto sui social.
E quel nonno? Ha ottanta anni e sono decenni che non torna al suo paese. Adesso se ne sta tutto il giorno sul gruppo degli amici di Vattelapesca, a commentare post, a rivivere i luoghi della sua infanzia. Ma quella non era casa della ragazzetta di cui si era innamorato? Che fine avrà fatto?
Non si tratta di essere apocalittici o integrati, secondo un vecchia e profetica definizione di Umberto Eco. Si tratta di raccontare come si vive oggi.
Senza giudizio. Senza sapere come andrà a finire.
C’è poi lo stile di scrittura e lettura. Questa vita collegata ci ha reso smart. In compenso ci annoiamo di tutto, non focalizziamo frasi che richiedono un’attenzione maggiore di otto secondi. La nostra comunicazione è veloce ed essenziale. Pronta e scattante. Sarebbe piaciuta ai futuristi, agli ermetici, ad Archiloco. Un po’ meno a Leopardi, a Cicerone.
E’ così, punto. Non possiamo raccontare un contadino ai tempi della peste del seicento e farlo parlare come Renzo nei promessi sposi. Non più. Oggi, se raccontiamo un giovane della specie homo device, ci piace sentirlo parlare con il ritmo con cui parla e chatta.
Ogni racconto è lungo il tempo di uno spostamento sul bus. Non è letteratura: si può leggere in metropolitana. Si deve leggere in metropolitana, alzando gli occhi, alla fine, per controllare se intanto le cose non siano già cambiate.
Nei due racconti finali, quelli che parlano del prima, la prosa è quella di fine novecento. Qualcuno ha fatto notare come sia difficile il passaggio tra il poi e il prima.
E’ vero: è stato facile passare dal prima al poi, il contrario non è difficile, è impossibile.
Non sappiamo come andrà a finire, sappiamo che non possiamo tornare indietro.