Prima c’era il nulla, poi la psicologia sportiva, poi sono arrivati i film di Rocky, Guerre stellari, infine il coaching. Se oggi non hai a disposizione uno straccio di mental coach non puoi fare sport ad alto livello.
Marcel Jacobs che ringrazia la sua coach al termine della vittoria olimpica sui cento metri è solo uno dei tanti. Pochi sanno chi sia l’allenatore del velocista, ma tutti sanno che la trasformazione da Calimero a eroe olimpico di Marcel viene attribuita ad una mental coach.
Ma non è finita: per non farci mancare nulla cominciano a far capolino anche i ringraziamenti a consulenti filosofici. Roberta Bruni, astista romana, è stata una delle prime atlete a parlarne in una bella intervista di qualche anno fa su un giornale locale.
Ebbene, fatevi dire che da uno del mestiere che il Consulente filosofico è la figura più importante di tutte quelle che ruotano intorno alla prestazione sportiva, ma non sposta di un centesimo la prestazione sui cento metri.
La consulenza filosofica però pare avere tratti distintivi che sembrano aprire prospettive molto interessanti nel campo dell’applicazione della filosofia alla pratica sportiva. Siamo ancora in un ambito dai contorni non ben determinati che vanno chiariti al più presto.
Ci risparmiamo la storia della consulenza filosofica, nata in Germania ma sviluppatasi un po’ dappertutto con declinazioni diverse, a volte equivoche. Questo breve articolo si interessa esclusivamente di cosa può avere a che fare la filosofia con lo sport.
Per comprendere il contesto sarà utile tracciare immediatamente le righe del campo di gioco, segnando i confini della consulenza filosofica in relazione a due discipline limitrofe, il coaching e la psicologia sportiva: i riferimenti riguardano l’approccio, gli obiettivi e le competenze specifiche. Vediamo quindi cosa è altro dalla consulenza filosofica.
Una descrizione sintetica del coaching lo coglie concentrato sulla prestazione sportiva e sull’aiuto per raggiungere obiettivi specifici. Il coach utilizza tecniche molto efficaci per sostenere la persona nell’elaborazione di un piano d’azione e nella realizzazione degli obiettivi. Questo tipo di azione è centrato sul qui ed ora e sulle tecniche volte a superare eventuali ostacoli al fine di ottenere migliori risultati positivi.
Goal setting, road map, zona, bolla sono termini piuttosto comuni alle diverse scuole di coaching e descrivono bene il campo di azione.
Uno, non l’unico, dei metodi del coaching è quello fondato sulla PNL e in quel caso troveremo altre parole d’ordine: mappa, territorio, ricalco, trigger…. Già in passato mi sono occupato (qui) delle riserve filosofiche su questo stile di intervento, ma ad essere onesto, pur conservando le mie perplessità sulla PNL, non avevo ancora maturato la riflessione sulla differenza essenziale tra coaching e consulenza filosofia. Pretendevo troppo da un metodo meccanico e tecnico per far correre più forte o servire una buona palla di servizio. Il coaching serve a vincere, non si occupa dei valori e neanche della condizione psicologica profonda dell’atleta. Se lo fa esula dal suo campo.
Il mio coach preferito è Tim Gallwey, con il suo metodo fondato sul gioco interiore.
Diciamo che a Gallwey manca poco per essere un consulente filosofico, infatti il suo sistema è derivato da una buona frequentazione delle filosofie orientali. Ma resta un maestro di tennis che prima ha trasformato l’approccio alla sua disciplina e poi all’apprendimento e allenamento sportivo, per concludere con il coach esistenziale e quello destinato alle aziende. Oggi quella di Gallwey è una industria internazionale.
Sulla libertà lasciata dal Coach PNL al suo cliente, invece, ci sarebbe molto da discutere, direi che andrebbe fatto firmare un modulo di consenso informato su quello che succede ad un atleta che si sottopone ad un intervento PNL. Qui una buona consulenza filosofica sarebbe utile ai coach medesimi, ma questa è un’altra storia.
L’associazione internazionale di coaching ICF ha invece standard piuttosto seri. È una patente che costa tempo e denaro, ma direi che se dovessi affidarmi ad un coach sportivo cercherei qualcuno con i crismi ICF.
Se invece fossi uno psicologo sportivo me la tirerei un po’, cosa che fanno rendendosi piuttosto antipatici. Lo psicologo sportivo è un professionista che in Italia ha seguito un percorso accademico ed è iscritto ad un albo dopo aver superato un ulteriore esame. Coach e consulente filosofico, invece, rientrano nell’ambito della legge 4/2013 che disciplina le professioni non regolamentate, cioè quelle che si possono esercitare senza necessità di essere iscritti ad un albo o un ordine di riferimento e senza dover possedere uno specifico titolo di studio o percorso formativo, regolamentato e definito dal Ministero per l’ Università e la Ricerca (MIUR).
Va quindi detto che l’intervento dello psicologo dello sport è il più istituzionalizzato e controllato delle tre fattispecie di cui ci stiamo occupando. Ciò ovviamente non basta.
La psicologia sportiva si concentra sulla relazione tra la mente e il corpo nella prestazione sportiva. Questo approccio utilizza tecniche di psicologia per aiutare gli atleti a gestire le emozioni, migliorare la motivazione, superare le paure e sviluppare abilità mentali come la concentrazione e la gestione dello stress. La psicologia sportiva si concentra sulla comprensione dei processi psicologici che sottendono la prestazione sportiva e sull’aiuto necessario a migliorare la stessa.
Ovviamente esistono diverse scuole di psicologia e diversi stile d’intervento, lo specifico comune è nella figura dello psicologo, in grado di riconoscere e intervenire su aspetti psicologici rilevanti. Anche lui si occupa di migliorare la prestazione, ma il suo approccio riguarda la sfera psichica nella sue specifiche interferenze con l’attività sportiva. Training autogeno, ipnosi, tecniche di respirazione possono rientrare nel bagaglio tecnico dello psicologo sportivo.
Fin qui quello che la Consulenza filosofica applicata allo sport non è.
E’ abbastanza semplice, più complicato invece è definire in positivo il quadro della Consulenza filosofica.
Potrebbe aiutarci la testimonianza di alcuni sportivi di fama mondiale che hanno fatto riferimento all’uso della filosofia nella loro attività sportiva. Kobe Bryant, stella NBA, ha citato il filosofo stoico Epitteto in un’intervista con The Players’ Tribune:
Forse qualcuno che si sarebbe aspettato di conoscere delle tecniche filosofiche da applicare in un rapporto frontale da questo articolo. Sarà deluso. La filosofia non si sputtana con due parole. “Se vuoi puoi!” non è filosofia e per quanto ci riguarda non è niente, se non marketing, speculazione, imbroglio. Però non sono parsimonioso di parole, qui puoi trovare un esempio di contenuti filosofici applicati alla pratica sportiva nella terza età.
“Epitteto è stato un grande filosofo e ha detto molte cose intelligenti. Ma la cosa che mi ha davvero colpito è che ha detto che nulla può ferirti, a meno che tu non lo permetta.“
Anche Novak Djokovic in un’intervista con The New York Times, ha citato la filosofia, facendo anche riferimento ad una pratica di meditazione:
“Penso che la filosofia e la meditazione mi abbiano aiutato a raggiungere un equilibrio e una pace interiore che mi hanno permesso di gestire meglio lo stress e la pressione durante i tornei.“
Arsène Wenger, ex coach-manager dell’Arsenal, ha dichiarato che la filosofia è stata una parte fondamentale del suo approccio all’allenamento:
“La filosofia è stata importante per me perché mi ha permesso di avere una prospettiva equilibrata”.
Ora, da queste semplici testimonianze salta fuori una cosa fondamentale: nessuno parla di tecniche o di una immediata influenza della filosofia nella prestazione sportiva. In tutte e tre i casi la filosofia ha aiutato l’atleta o il manager a trovare una nuovo approccio alla vita che si è successivamente trasferito allo sport. La filosofia ha aiutato l’atleta a diventare una persona diversa, successivamente questa nuova dimensione ha interessato la prestazione sportiva. Freud al contrario sosteneva che chi si sottopone alla psicoanalisi non è una persona migliore. Una bella pretesa, quindi, quella della consulenza filosofica.
La consulenza filosofica serve in primis alla persona.
Anche la lettura del libro di Murakami, l’arte di correre, in fondo è una testimonianza della connessione tra concezione filosofica e sport, ma il percorso dichiarato è esattamente il contrario rispetto a quello a cui fanno riferimento le testimonianze riportate sopra.
In questo caso lo sport aiuta il creativo a vivere meglio la sua professione, perché scrivere – sostiene Murakami – è un’attività pericolosa, una perenne lotta con i lati oscuri del proprio essere ed è indispensabile eliminare le tossine che, nell’atto creativo, si determinano nell’animo di uno scrittore.
Qui il “filosofo” ricorre allo sport per vivere meglio il proprio mestiere, ma dalla lettura del libro sveliamo il bluff di Murakami: la sua corsa è impregnata della filosofia orientale. Confesso che dopo aver letto il suo libro sulla corsa ho svalutato un po’ i suoi capolavori.
Murakami a parte la consulenza filosofica in fondo non si prefigge altro scopo che apparecchiare ad uso del cliente la riflessione e la comprensione profonda delle questioni che sottendono il comportamento umano e solo di conseguenza la performance sportiva. L’intervento può anche interessare direttamente l’aspetto sportivo, ma il fondamento è sempre di natura filosofica e richiede un coinvolgimento pieno dello sportivo in riflessioni filosofiche. Non c’è nessuna tecnica specifica che ti fa correre come il vento.
In questo senso la consulenza filosofica aiuta a chiarire valori, credenze e motivazioni, e a sviluppare una visione più ampia e complessa della vita e dello sport. Chi agisce e riflette è l’atleta, il consulente presenta il campo dei possibili valori di riferimento.
Semplificando di molto possiamo affermare che il consulente filosofico lavora con l’atleta (e vedremo subito che dovrebbe lavorare non solo con l’atleta) per trovare risposte alle domande fondamentali e aiutarlo a sviluppare una prospettiva più profonda e significativa della sua visione del mondo che necessariamente si ripercuote sulla sua attività sportiva.
Il concetto è abbastanza facile da semplificare: se adotti un quadro di convinzioni che ti fa star meglio, poi corri più veloce.
La notte prima di una finale olimpica non chiamerei per la prima volta un consulente filosofico, quattro anni prima sì.
In sintesi, mentre il coaching si concentra sul raggiungimento di obiettivi specifici, la psicologia sportiva si concentra sulla relazione tra mente e corpo e sulla gestione delle emozioni e delle abilità mentali utili alla prestazione sportiva, la consulenza filosofica si concentra sulla riflessione e sulla comprensione consapevole del posto che lo sport occupa nella comprensione e nel progetto di vita dell’atleta, della squadra, di una società sportiva.
È evidente come il coaching e il lavoro dello psicologo sportivo si traducano in una migliore performance sportiva, vale lo stesso per il consulente filosofico?
Onestamente bisogna dire che non lo sappiamo. Non lo sappiamo ancora. Troppo pochi sono i consulenti filosofici che sono stati coinvolti in “trattamenti sportivi” di rilevante complessità. Non abbiamo statistiche e anche reperire letteratura in merito appare abbastanza complicato.
Posso dire dalla mia esperienza di allenatore sportivo che a volte la filosofia mi ha aiutato a vincere, a volte mi ha fatto naufragare. Se non funziona un canale di comunicazione tra coach, squadra e società può succedere che un lavoro carsico fondato sulle mie convinzioni filosofiche aiuti nella caduta.
Parlavo di lavoro carsico non a caso. La mia esperienza è quella di allenatore sportivo che ne sa abbastanza di filosofia per applicare le proprie convinzioni a quello che fa in palestra. Posizione scomoda se non sei Velasco.
Ritengo che il lavoro di un coach sportivo, inserito in un contesto inconsapevole del metodo specifico dell’allenatore non possa che essere sotterraneo, almeno di non voler correre il rischio di alimentare i conflitti, apparire bizzarro, creare incomprensioni.
In un esempio di progetto filosofico per una società sportiva che pubblico alla fine di questo articolo cercherò di superare questo inconveniente: oggi, 2023, in Italia, non è maturo un intervento di consulenza sportiva che non coinvolga l’intera società sportiva, almeno per gli sport di squadra.
Qui non si tratta di un trigger come la bandana di Pantani o i tic di Nadal (vedi qui), qui si parla di una visione del mondo che ha ricadute sulla pratica sportiva.
La consulenza filosofica applicata allo sport porta a conseguenze importanti che debbono necessariamente investire il contesto sportivo nel quale il singolo atleta o gruppo opera. Diverso è l’approccio frontale con il singolo atleta che sia impegnato in uno sport individuale, ma qui il rischio di sconfinare nel campo del coaching e della psicologia sportiva è tanto alto quanto sarebbe necessaria una riflessione a parte.
Per essere chiaro presento un sintetico caso di studio di una possibile criticità relativa all’applicazione della consulenza filosofica scollegata dal contesto.
Un allenatore si rivolge ad un consulente filosofico ed affronta i concetto di equità e merito in relazione alle scelte che quotidianamente opera nel suo lavoro. Il suo problema è che ogni volta che schiera una formazione si crea mille problemi su chi far giocare. Succede: un allenatore sportivo in fondo può essere portato a riflettere sul fatto che nella scelta della formazione titolare il merito morale abbia implicazioni maggiori di un criterio utilitaristico comunemente diffuso: gioca il più bravo. Oppure un allenatore ha le sue preferenze, non sempre fondate su criteri oggettivi.
La scelta ha una infinità di conseguenze: la gestione del gruppo, il risultato, il rapporto con i singoli atleti.
Sta di fatto che l’allenatore del nostro caso modella il suo problema con riferimento a schemi filosofici proposti dal consulente ed arriva ad una conclusione:
Il tipo che si assenta frequentemente dagli allenamenti non merita di giocare. L’allenatore preferisce far giocare un atleta più scarso che ogni settimana si allena quattro volte ed è collaborativo al massimo con squadra e staff. Sull’onda di questa visione lo stesso allenatore decide che tutti quelli che moralmente lo meritano hanno il diritto di giocare, a prescindere dal loro valore tecnico e atletico.
Questa riflessione non è assoluta, altri allenatori potrebbero arrivare legittimamente a conclusioni diverse pur con uno stesso apparato filosofico di riferimento.
È una scelta, però, fondata su una riflessione etica.
Proudhon sarebbe più o meno d’accordo, Adam Smith no. Una lettura condivisa delle Repubblica di Platone avrebbe portato questo stesso allenatore a ponderare le inclinazioni dei singoli in funzione del ruolo che hanno nella squadra, senza alcuna valutazione morale. Nietzsche avrebbe indagato sulla superiorità effettiva di chi viola la regola e forse lo avrebbe nominato capitano se il suo gesto fosse stato una rottura della morale idealizzata in un fondamento platonico-cristiano. Basta buonismo! diremmo oggi. Il Corinthians di Socrates, che aveva una democrazia di spogliatoio di stampo comunista, si sarebbe riunito ed avrebbe adottato una decisione collettiva, non decide l’allenatore, ma la squadra, in cui l’allenatore è soltanto uno dei cittadini.
Fin qui tutto bene. Ma il lavoro non è finito.
Il nostro allenatore non è il proprietario della società sportiva e comunque deve rapportarsi ai dirigenti e agli altri allenatori. Se poi la squadra fosse una squadra giovanile ci sarebbe il fattore G. I genitori. Mio figlio è più forte e questo incapace lo tiene in panchina! Mio figlio non manca mai e gioca quello che ha mille altri impegni e si allena quando vuole!
La conseguenza brutale nel nostro caso è che dal momento che la dirigenza della società nella quale opera questo allenatore non era consapevole e non condivideva questa riflessione si è aperto un grave conflitto valoriale, che se non fosse stato gestito da un nuovo intervento di consulenza filosofica avrebbe portato inevitabilmente al disastro.
Ecco perché oggi è necessario che la consulenza filosofica si rivolga ad una platea di soggetti più ampia possibile e che addirittura coinvolga supporters, stakeholders, familiari degli atleti. Genitori, soprattutto genitori.
Al crepuscolo dei due secoli nichilisti profetizzati da Nietzsche dovremmo ipotizzare che le società sportive si caratterizzino per i valori condivisi dai propri membri.
Ci siamo.
Apprezzo molto che un ente di promozione sportiva come la UISP consideri propedeutico un corso di base a qualsiasi attività degli allenatori all’interno dei campionati che organizza. Se lavori con noi, anche in senso lato, devi essere consapevole della nostra filosofia.
Basti pensare alla moderna terminologia manageriale con cui si descrive la vision di una società a fini economici, oppure si parla della mission. Una multinazionale può permettersi di assumere dirigenti che non condividano la visione del mondo incarnata dall’azienda? Quali strumenti hanno le aziende per rendere consapevoli i propri collaboratori della visione filosofica della dirigenza? Quando la visione è condivisa in maniera profonda è conveniente distinguere tra dirigenti e semplici dipendenti?
L’esempio più clamoroso di questa ventata filosofica che richiede neccessariamente una consulenza nelle organizzazioni sono le B Corp. Le B Corp sono imprese che si impegnano a misurare e considerare le proprie performance secondo valori ritenuti positivi, quali quelli di sostenibilità ambientale e inclusione sociale, sullo stesso livello nel quale si valutano i risultati economici. La chiave è il ritenuti per questi valori. Cosa induce un’azienda a ritenere positivo un valore? Chi monitora la conformità di queste scelte al valore?
Queste società fanno business ma credono nell’impresa come forza positiva che si impegna al massimo nel produrre valore per l’ambiente e la società. Una B corp si sottopone ad una certificazione che riguarda l’effettivo perseguimento degli obiettivi sociali che si propone per statuto.
La famosa Weltanshauung diviene un elemento costitutivo dell’impresa secondo valori ritenuti positivi oggi in determinate regioni del mondo.
La B Corp è un caso di consulenza filosofica applicata all’impresa che può essere un modello di interesse per quanto possa fare la filosofia nello sport.
Di seguito, anche a testimonianza della complessità di un intervento di consulenza filosofica, propongo la sintesi di un possibile intervento in una società sportiva.
PROGETTO DI UN INTERVENTO DI CONSULENZA FILOSOFICA RIVOLTO AD UNA SOCIETA’ SPORTIVA
Riferimenti teorici: La Repubblica di Platone fornirà un modello, tra i tanti possibili, di una società che funziona, nella quale però le inclinazioni degli individui e armonia della squadra coincidono con i ruoli invalicabili attribuiti a ciascuno. L’etica nicomachea di Aristotele ci aiuterà a comprendere la natura umana e a identificare le virtù che sono essenziali per una vita buona e appagante. Modelli contrapposti di organizzazione sono quelli di Marx, Proudhon, Stuart Mill e Adam Smith ai quali sarà fatto un rapido cenno e potranno essere utilizzati nel corso dell’intervento. Lo stoicismo antico e la Mindufulness saranno riferimenti utili alla gestione individuale degli atleti della loro prestazione sportiva.
Analisi della società sportiva: Il progetto parte dall’analisi della società sportiva e dei suoi valori. In quale contesto opera la società sportiva (professionistico, agonistico, amatoriale, di promozione sportiva)? In relazione al contesto quali sono i tratti distintivi della società? Modello di profitto economico, massimo risultato sportivo, sociale, promozionale, welfare, …
Definizione degli obiettivi: In base all’analisi della società sportiva e del contesto, sono definiti gli obiettivi della consulenza filosofica. Questi obiettivi dovrebbero essere coerenti con i valori e le virtù identificati durante l’analisi. Ad esempio: ad un obiettivo promozionale corrisponde una struttura organizzativa fondata sulla persuasione, il consenso, l’informazione, l’organizzazione di attività a forte impatto sociale e quindi il consulente filosofico sarà chiamato a sviluppare un piano d’azione non organizzativo ma che metta in luce i tratti profondi delle attività societarie esistenti o programmate. Ad esempio una ASD a carattere sociale deve sviluppare una consapevolezza sui caratteri distintivi del terzo settore, i fondamenti culturali, etici e motivazionali della propria attività, discutendo al proprio interno e sotto la supervisione del consulente sulla coerenza delle azioni positive con il quadro di riferimento.
Sviluppo di un piano d’azione: Una volta definiti gli obiettivi, sarà sviluppato un piano d’azione che tenga conto delle convinzioni filosofiche e dei valori identificati durante l’analisi della società sportiva. Questo piano d’azione dovrebbe comprendere attività come la formazione e la consulenza per il management, tecnici e atleti. Se l’obiettivo è il welfare gli atleti riceveranno una formazione che permetta di conoscere e applicare teorie filosofiche alla giusta pratica sportiva improntate all’ecologia, discipline olistiche, yoga, minduflness. Se una società opera nel terzo settore, ad esempio promuovendo attività sportiva per i detenuti, saranno affrontati con gli allenatori temi come la giustizia, l’equità nella pratica sportiva che andranno a proporre. In una squadra giocano tutti? I più meritevoli? Quale atteggiamento utilizza l’allenatore nei confronti di comportamenti di individui che violano le regole? Quali sono le regole? Quelle del carcere? Lo sport è comunque una “fuga” o la consapevolezza della propria condizione?
Monitoraggio e valutazione: Nulla è per sempre. Una volta completato il piano d’azione il Consulente filosofico, meglio, il team di consulenza filosofica, monitora e valuta regolarmente il raggiungimento degli obiettivi e apporta modifiche al piano d’azione.